Come è tristemente noto, l’Italia si trova ai primi posti tra i paesi Ocse per quanto concerne la disuguaglianza di reddito. La Voce ha pubblicato un interessante articolo proprio su questo tema, che vi andiamo brevemente a presentare.
Se prendiamo infatti l’indice Gini (uno delle tante misure delle disuguaglianze di reddito in un paese) possiamo vedere come l’Italia si trovi al terzo posto tra i paesi Ocse, dopo gli Stati Uniti e la Spagna, mentre gli altri stati europei come Germania e Francia hanno indici di Gini inferiori del 10/20 % rispetto al nostro. La disuguaglianza dei redditi, in diminuzione dagli anni Settanta nel nostro paese, ha conosciuto un notevole aumento a inizio anni Novanta per poi riprendere a crescere post pandemia.
I dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia mostrano che la percentuale di persone che sono occupate a tempo parziale è molto più alta per le donne ed è aumentata sensibilmente negli ultimi trent’anni. La stessa sorte è toccata al premio di genere (il rapporto tra la retribuzione media maschile e quella femminile) e il premio per l’istruzione (il rapporto tra la retribuzione media dei laureati e dei non laureati), che sono aumentati considerevolmente negli ultimi anni, in particolare durante la pandemia.
La spiegazione che viene individuata dagli autori dell’articoli per questo fenomeno è legata all’aumentata flessibilità del mercato del lavoro a seguito delle riforme degli ultimi trent’anni, l’ultima delle quali è il Jobs act del 2015. Queste riforme hanno favorito un aumento dei contratti part-time (principalmente per le donne) e di contratti a termine.
Andando ad analizzare ulteriormente i dati emerge poi una limitata mobilità infra-generazionale dei redditi, che contribuisce ulteriormente al fenomeno di disuguaglianza sopracitato.
Abbiamo parlato del settore culturale post Covid qui.
Matteo Bedetti è un dottorando in filosofia della scienza presso l’Università degli studi di Urbino.