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L’esperimento mentale delle palle rotanti

Questo articolo è il terzo “episodio” di una serie dedicata alla figura di Einstein e agli anni compresi tra la nascita della relatività speciale e generale, anni fondamentali per la scienza e la filosofia del ventesimo secolo (e non solo).

Nel 1916 Einstein espresse molto bene in un esempio che presenteremo fra poco quella che fu una guida euristica nel formulare la sua relatività generale, la teoria che spiega tanti fenomeni del cosmo in cui siamo immersi.

Questo principio, in onore del grande fisico, filosofo, psicologo e storico della fisica Ernst Mach, venne chiamato “principio di Mach” nel 1918. Di fatto egli sperava che la nuova teoria a cui stava lavorando avrebbe rispettato il principio di Mach, ma di fatto non fu così.

Newton era convinto che esistesse uno spazio assoluto rispetto a cui tutti i corpi si posizionano e si muovono. Per dimostrarlo propose un celebre esperimento, cioè quello delle palle rotanti. Immaginiamo un universo vuoto in cui due palle della stessa massa collegate da un filo sono immobili poste alla distanza massima possibile srotolando il filo. Prendiamo altre due palle identiche alle precedenti e facciamole ruotare attorno al centro del filo. Verrebbe da dire che se non esistesse uno spazio assoluto rispetto a cui avviene la rotazione, potremmo descrivere questa situazione in due modi equivalenti. O ponendoci nel sistema di riferimento in cui le prime due palle sono ferme oppure in quello in cui le seconde sono ferme.

Ma questo non funziona, perché, mentre il primo filo non ha nessuna tensione, il secondo sarà teso a causa della forza centrifuga dovuta alla rotazione. Quindi i due sistemi non sono equivalenti. Esiste un moto rotatorio assoluto e quindi uno spazio assoluto.

Mach 200 anni dopo ripensando a questa situazione non era convinto. Nella sua Meccanica nel suo sviluppo storico-critico nota che la tensione del filo potrebbe essere dovuta non alla rotazione rispetto allo spazio assoluto, ma rispetto alle stelle fisse.

Einstein estese questa idea arrivando a ipotizzare che tutte le forze inerziali sono dovute ad altre masse, cioè sono effetti gravitazionali. In altre parole, l’inerzia è un effetto della gravità.

Per spiegare questo fenomeno, egli propose un altro esperimento delle due palle rotanti. Questa volta sono staccate una dall’altra e mollicce. Una ruota su se stessa l’altra no e per il resto esse sono immerse nello spazio vuoto. Einstein trova profondamente controintuitivo che la palla che ruota assuma una forma oblunga – ricordiamoci che sono mollicce – solo perché ruota rispetto al presunto spazio assoluto. Questa deformazione deve essere dovuta a un fenomeno fisico reale, tale fenomeno non può che essere la presenza di altre masse nell’universo, come ad esempio le stelle fisse.

Sulla base del principio di Mach Einstein si convinse che la nuova teoria doveva estendere il principio di inerzia di Newton. Sappiamo che secondo questo principio il moto rettilineo uniforme e la quiete sono fisicamente indifferenti. Einstein vuole trovare un principio di relatività generalizzato, cioè una fisica che sia uguale in tutti i sistemi di riferimento, non solo in quelli che si muovono l’uno rispetto all’altro di moto rettilineo uniforme.

Nelle prossime puntate vedremo meglio come questa impresa andò a finire.

Potete trovare il primo articolo di questa serie qui.

Vincenzo Fano è docente ordinario di Logica e Filosofia della Scienza presso il corso di laurea magistrale in Filosofia dell’Informazione. Teorie e Gestione della Conoscenza dell’Università degli studi di Urbino Carlo Bo.

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