La felicità si può misurare. O meglio, si possono proporre dei questionari con varie metodologie, per determinare quanto le persone si sentano felici. I risultati che si ottengono non sono mai del tutto sicuri, poiché non sempre le persone sono pienamente consapevoli dei loro stati d’animo, tuttavia questi dati non vanno trascurati. Forse, più che di felicità, si dovrebbe parlare di “felicità percepita” o “felicità espressa”, oppure anche di “felicità palesata”.
Comunque i dati sono interessanti e controintuivi.
L’aumento della ricchezza comporta sempre un aumento di felicità. Ma, attenzione, dopo un certo livello di disponibilità economica, ci vogliono sempre più soldi per ottenere nuova felicità. In altre parole la curva ha un andamento logaritmico. Sale in fretta fino a circa 10.000 dollari all’anno procapite e poi sempre più lentamente. In altre parole, chi ha 20.000 dollari è ben lontano dall’essere il doppio più felice di chi ne ha 10.000.
La felicità rispetto all’età ha un andamento a U e questo capita in tutti i paesi, anche se il minimo della U è a età diverse. In media a 46 anni. In altre parole a 20 anni si è più felici che a 50, ma a 80 si è più felici che a 30! Non è facile spiegare questo effetto, che probabilmente dipende anche dalla maggiore calma e rassegnazione delle persone anziane.
Avere figli provoca infelicità. E’ strano, ma è così. I figli portano preoccupazioni e nell’adolescenza sono anche difficili da gestire, quindi non sempre chi ha più figli è più felice.
Sposarsi in media porta felicità, ma essere disoccupati porta molta più infelicità.
Insomma, anche quando parliamo di concetti molto importanti, come quello di benessere, impariamo a partire sempre dai dati.
Fonte l’Economist del 18 dicembre 2010.
Vincenzo Fano è docente ordinario di Logica e Filosofia della Scienza presso il corso di laurea magistrale in Filosofia dell’Informazione. Teorie e Gestione della Conoscenza dell’Università degli studi di Urbino Carlo Bo.