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George Orwell, 1984 e la Rappresentazione Femminile

1984 di George Orwell è uno dei romanzi più letti del Ventesimo secolo.

L’autore coglie alcuni aspetti essenziali dei sistemi totalitari in modo narrativamente efficace. Dall’onnipresenza del controllo da parte delle autorità al sadismo degli aguzzini, fino al processo alle intenzioni organizzato dalla psicopolizia.

In quel mondo per essere colpevoli non è necessario compiere un reato, ma basta avere intenzione di compierlo.

Viene così negata la cultura tipicamente umana, così ben descritta dal mito dell’auriga di Platone, che deve governare i due cavalli della volontà e del sentimento che tirano in direzioni diversi. Questo è proprio “l’uomo nuovo” di memoria fascista.

Ma Orwell non solo stigmatizza l’uomo nuovo, ma anche “l’ordine nuovo” di memoria comunista. Un ordine ferreo che dovrebbe far emergere solo una parte dell’animo umano. Se la psicopolizia vuole estirpare il cavallo dei sentimenti, il regime vuole imbavagliarlo.

E così in 1984 regna il doppio pensiero, cioè il fatto che sono vere sia le affermazioni che le negazioni. In altre parole la verità è manipolabile. Ci sono addirittura gli addetti a modificare la storia in accordo con le esigenze del regime.

Qui emergono le radici idealistiche del fascismo. Croce diceva che la storia è storia del presente, cioè negava al passato quell’oggettivita che invece è garanzia di una società libera.

C’è però un vulnus nell’opera di Orwell, cioè la sua completa disattenzione alla situazione delle donne. Pessimo marito, Orwell attribuisce a Julia, la protagonista femminile di 1984, un ruolo secondario e stereotipato.

Ben venga quindi il romanzo “Julia” della Newman, una sorta di spin-off di 1984, che attribuisce un ruolo indipendente alla deuteragonista, anche lei oppositrice a suo modo del regime.

Vincenzo Fano è docente ordinario di Logica e Filosofia della Scienza presso il corso di laurea magistrale in Filosofia dell’Informazione. Teorie e Gestione della Conoscenza dell’Università degli studi di Urbino Carlo Bo.

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